Quante volte si ha l’impressione di pagare più del dovuto per un finanziamento? Probabilmente molte. Ma si tratta di una vana recriminazione o di una percezione fondata? Quest’ultima sembra la risposta più appropriata, essendo svariati i casi in cui i sottoscrittori di prestiti bancari – inizialmente allettati dalle proposte contrattuali – si sono poi trovati a dover fare i conti con costi maggiori rispetto a quelli preventivati. Una situazione indubbiamente spiacevole, derivante dal fatto che la quasi totalità delle banche, per la quasi totalità dei finanziamenti, ricorre al piano di ammortamento in regime di capitalizzazione composta.
Un tuffo nel passato per capirne di più
Per capire cosa esso sia, può essere d’aiuto un aneddoto. Si narra che in tempi antichi l’ambasciatore di Persia si recò in Egitto, dove ebbe modo di insegnare il gioco degli scacchi al faraone. Questi, per mostrare la propria riconoscenza, volle fare un dono al diplomatico, il quale chiese del grano. Più precisamente, domandò un granello per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza e così via, raddoppiando di volta in volta fino alla 64.ma casella. Il faraone, inizialmente sorpreso dalla moderatezza della pretesa, non impiegò poi molto tempo a rendersi conto che, per soddisfarla, sarebbero stati necessari 18,5 miliardi di miliardi di chicchi. Vale a dire più dell’intero raccolto non del solo Egitto, ma del mondo intero.
Effetto esponenziale della capitalizzazione composta
Per quanto vecchio di millenni, il racconto appena esposto consente di comprendere con semplicità il meccanismo di crescita esponenziale degli interessi. Caratterizzante il già citato regime di capitalizzazione composta (insito nel piano di ammortamento “alla francese”), tale meccanismo presuppone che le rate di rimborso di un finanziamento siano tutte di pari importo e contengano sia quote di capitali che di interessi. Questi ultimi vengono però capitalizzati; pertanto – una volta pagati – diventano capitale per il periodo successivo su cui calcolare gli ulteriori interessi. Un esempio potrà chiarire meglio le idee: prendiamo un finanziamento di € 10 mila, con tasso annuo al 10%. Per il primo anno, la somma dovuta è pari a € 11 mila. Per il secondo, il 10% non va calcolato sull’importo inizialmente preso in prestito, bensì sugli 11 mila.
Ecco spiegato perché, con il passare del tempo, il cliente della banca pagherà molti più interessi di quelli inizialmente previsti.
Un problema di trasparenza
Si potrebbe pensare che tutto ciò sarebbe evitabile con un minimo di prudenza nel momento della sottoscrizione dell’accordo. Elemento, questo, sempre opportuno, ma in questo caso di per sé non sufficiente. Ad alimentare la percezione di un aumento dei costi è infatti quella prassi bancaria (adottata nella quasi totalità dei contratti di finanziamento) in base alla quale gli istituti di credito – in sede di stipula del negozio giuridico – omettono di indicare l’adozione del regime di capitalizzazione composta. Ignaro di ciò, il cliente pone la propria firma, nell’erronea convinzione di dover pagare annualmente null’altro che un certo TAN (Tasso Annuo Nominale) e una determinata quota di capitale.
L’alt della giurisprudenza
A questa prassi bancaria ha cercato di porre un freno la più recente giurisprudenza. Negli ultimi anni si sono infatti registrate varie sentenze che hanno sanzionato quelle pratiche contrattualistiche considerate ingannevoli perché dannose per i consumatori. Molti tribunali, tra cui la Corte di Appelli di Napoli, hanno punito tale comportamento, decretando la parziale nullità del negozio giuridico per violazione delle norme di trasparenza. Conseguentemente, i giudici hanno provveduto ad applicare l’art. 117, c. 7, TUB (Testo Unico Bancario) che prevede il ricalcolo del finanziamento a un tasso molto più basso (quello BOT registrato nei 12 mesi precedenti). In aggiunta a ciò, è stato stabilito il passaggio dal regime di capitalizzazione composta a quello di capitalizzazione semplice, in cui gli interessi non diventano capitale da conteggiare nel periodo successivo.
Quali conseguenze?
Le novità adottate dalla giurisprudenza possono contribuire a innescare interessanti cambiamenti nei rapporti tra banche e mutuatari. Innanzitutto, questi ultimi beneficiano di una rimodulazione della rate da pagare, rideterminate secondo interessi più bassi. Inoltre, il ricalcolo degli interessi comporta molto spesso uno snellimento della posizione debitoria del cliente, se non addirittura la sua trasformazione in creditore nei confronti dell’istituto bancario. Senza poi dimenticare che il ricalcolo può avere effetti positivi anche in caso di procedure esecutive. Se il debito dovesse risultare infondato, la banca si troverebbe priva della pretesa su cui fondare la richiesta di procedura pignoratizia e di messa all’asta, che pertanto dovrebbero essere arrestate.
Con buona pace di imprenditori e privati, che così non dovranno più rimpiangere il giorno in cui chiesero un finanziamento.