Troppo spesso clienti ignari accettano un finanziamento a capitalizzazione composta. Un regime che comporta un maggiore esborso di interessi ai danni delle imprese.
Ricorrere a un finanziamento è un’operazione abituale nel mondo delle imprese. Molto spesso, tale prassi si estende anche alla sfera dei privati, specie quando occorre un aiuto economico per portare a compimento un progetto familiare.
In ogni caso, recarsi presso un istituto di credito è un atto che – per quanto ponderato – comporta una massiccia dose di fiducia. Chi intende instaurare un rapporto con una banca lo fa sì per necessità, ma anche sostenuto dalla convinzione – o quantomeno dalla speranza – che possa far affidamento su criteri di lealtà e correttezza.
La fiducia si scontra con la realtà
Ma è sempre così? Prima di formulare una risposta, è opportuna una premessa: il lavoro svolto dal tessuto bancario è di fondamentale importanza, sia per lo sviluppo delle attività produttive che per il sostegno alle famiglie. Tuttavia, è innegabile l’esistenza di pratiche non del tutto trasparenti, come tali in grado di recare pregiudizio ai clienti. Tra le molteplici insidie, quella di cui si vuol trattare in questa sede riguarda il regime di capitalizzazione composta, caratterizzante il piano di ammortamento “alla francese”.
Di cosa si tratta?
Per affrontare consapevolmente la problematica, è preliminarmente opportuno delineare i concetti di “piano di ammortamento” e “capitalizzazione composta”.
Il piano di ammortamento è il sistema di rimborso delle rate (contenenti sia il capitale che gli interessi). Esso può assumere varie forme, tra le quali quella “alla francese”, in cui le rate di rimborso del finanziamento sono tutte di pari importo e contengono sia quote di capitale che di interessi.
Questi ultimi sono capitalizzati; pertanto – una volta pagati – andranno a incrementare il capitale del periodo successivo, sul quale calcolare ulteriori interessi. Ed è proprio questo il motivo per cui, con il passare del tempo, il cliente della banca si troverà a dover corrispondere molti più interessi di quelli inizialmente credeva di dover corrispondere.
Una prassi bancaria a cui fare attenzione
La conoscenza è lo strumento più idoneo per evitare di incappare in una situazione simile. Chi sta per sottoscrivere un finanziamento dovrebbe dunque sapere che il regime di capitalizzazione composta non è l’unico meccanismo previsto dalla matematica finanziaria. Ne esistono altri, di cui però gli istituti di credito raramente fanno menzione, preferendo invece far sottoscrivere un finanziamento con piano di rientro “alla francese” in regime composta, che in realtà rappresenta una deroga alla capitalizzazione semplice. Quest’ultima, contemplata dal Codice civile, è la condizione legale di base e obbedisce a un criterio di proporzionalità: con il passare del tempo, aumenta proporzionalmente il valore degli interessi da corrispondere.
Insidie della capitalizzazione composta
Così strutturato, il piano di rientro “alla francese” in regime composto cela costi occulti a carico del mutuatario. L’insidia deriva dal fatto che la banca certifica il pagamento a rate costanti, evitando però di specificare che si farà ricorso al regime esponenziale degli interessi, il quale prevede un incremento annuo degli stessi. Per chiarire meglio la questione, si rende opportuno un esempio: finanziamento di € 20 mila, e tasso annuo al 10%. Nel primo anno, la somma da pagare ammonta a € 22 mila. Nel secondo, il 10% non andrà più calcolato sul finanziamento iniziale, bensì sui 22 mila.
Rimedi possibili
Come detto, il ricorso alla capitalizzazione composta si sostanzia in una deroga. Non avendo carattere pattizio, costituisce quindi una violazione delle norme di correttezza e trasparenza, come tale perseguibile in ambito giuscivilistico. In tal sede, sempre più spesso accade che i giudici consentano ai consulenti d’ufficio e a quelli di parte di verificare l’effettiva esistenza dell’illecito. Una volta accertato il meccanismo fraudolento posto in essere a danno del cliente, la parte lesa può richiedere – qualora non concesso d’ufficio – un risarcimento danni da responsabilità contrattuale. Inoltre, se nel comportamento della banca venga individuata una fattispecie usuraria, il cliente avrà altresì diritto al risarcimento del danno morale oltreché alla cancellazione di tutti gli interessi.
Ulteriori benefici per i clienti
La pronuncia giudiziale, oltre che opportuna per ragioni di equità, comporta anche benefici di carattere patrimoniale. Una volta accertata la mancata pattuizione del regime di capitalizzazione, il cliente può infatti ottenere un ricalcolo del mutuo da cui – a seconda dei casi – può derivare la riduzione della posizione debitoria o addirittura il rimborso di quanto già corrisposto.
A tutto ciò va aggiunto che nel caso in cui il TAN (Tasso Annuo Nominale), ricalcolato in base al regime di capitalizzazione semplice, sia superiore al tasso soglia (fissato dalla Banca d’Italia, oltre il quale si configura il reato di usura), l’art. 1815, c.2, c.c., prevede l’azzeramento di tutti gli interessi, costi e commissioni. Pertanto, il mutuo diventa a titolo gratuito, e il cliente dovrà corrispondere soltanto le quote di capitale mutuato.
Come ottenere giustizia
Quanto finora detto permette di ottenere indubbi vantaggi nel caso di contenzioso con la banca, consentendo di rielaborare l’importo del Dare/Avere a vantaggio del debitore, ovvero di ridurre l’importo del debito. In quest’ultimo caso può essere utile una strategia di accertamento preventiva tale da evitare possibili azioni recuperatorie da parte dell’istituto creditore, nel breve periodo. Poter attivare tali strategie, che prevedono la verifica tecnica sulle tematiche accennate, è certamente appannaggio di professionisti esperti del settore in grado di rilevare le criticità dal punto di vista matematico-finanziario e poi contestarle giudiziariamente alle banche fino all’ottenimento del risultato favorevole al cliente.